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Iscritto il: 24/04/2014, 20:42
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Località: Dueville (VI)
Nelle regioni asiatiche vediamo concretizzarsi il risultato di un secolare studio tecnico
sull'arco. Qui i costruttori diventano creatori di attrezzi affidabili ed efficaci, adatti alle
esigenze tattiche ed alla praticità d'uso degli arcieri. Sono costruttori e ricercatori
insieme, sperimentano l'abbinamento di materiali fino a quel momento mai usati,
studiano alla scuola della necessità, diventano ingegneri, ridisegnano, incastrano tra
loro materiali poco elastici con altri troppo elastici, vegetali o non organici. Realizzano
in questo modo l'arco composto (o composito), piccolo, potente, veloce nell'uso, usato
da arcieri cavalieri o di fanteria.
Sargon I di Akkad (2350-2300 a.C.) "Signore delle quattro parti del mondo", conquista
la Mesopotamia, parte della Siria e dell'Asia minore e l' Elam. La superiorità militare
degli Accadi deriva dall'impiego di una tattica di movimento, con largo uso delle armi
da lancio (giavellotto, arco e freccia), contro la quale nulla può l'esercito sumero. L'
esercito di Sargon I era composto in gran parte da arcieri a cavallo, dotati di un arco
breve ma robustissimo; attaccavano velocemente le falangi dell'esercito sumero poco
mobili, armate con pesanti lance e grossi scudi, impedendo ogni difesa e distruggendo
il nemico con nuvole di micidiali frecce.
L'arco, col passare del tempo rafforza sempre più la sua immagine; diventa emblema
di forza e potenza. Re e condottieri si fanno immortalare a caccia di leoni, o alla testa
dei loro eserciti, con arco e frecce.
I bassorilievi di Ninive riportano scene di caccia. Vi viene raffigurato Assubanipal (669-
626 a.C.) che con un potente arco, tirando da un carro da guerra, trafigge un leone,
piantando nel suo corpo frecce che lo attraversano completamente.
I geroglifici egizi ci raccontano che Ramses II (morto nel 1233 a.C.) nella battaglia di
Qadesh nel 1299 a.C. alla testa del suo esercito affronta gli Ittiti in una delle battaglie
più terribili del suo regno. Ha 25 anni, è alto, biondo, ritto sul suo carro da guerra,
coperto in parte da un'armatura in cuoio, affronta il nemico armato d'arco. Scocca le
sue frecce infallibili e potenti con calma e determinazione, abbattendo uno per uno gli
ittiti. Il suo arco, detto a forma di falce, è composito. Una lista centrale di legno duro
con i due estremi ripiegati sul fronte e coperti da lamine di corno; il legno è ricoperto
completamente di tendine, il tutto fasciato trasversalmente con fibra di betulla. Aste di
canna palustre costituiscono il corpo delle frecce, una punta di bronzo chiude l'asta
della freccia.
La corda dell'arco si inserisce in una cocca di legno; dalla cocca partono tre penne
legate ed incollate con colla di betulla. Un tubo di cuoio ornato di teste d'animale
lasciava alla luce solo le impennature delle frecce; il tutto portato a tracolla, lasciando il
massimo del movimento al faraone arciere. L'arciere comune che fa parte dell'esercito
era armato con archi costruiti in legno d'acacia, lunghi 170 cm.. Poiché l'acacia è
troppo elastica per rendere potente ed efficace l'arco e poiché la corporatura alta e
snella dell'arciere egizio lo consente, l'apertura di tiro era molto ampia, tanto da
portare la corda sino all'orecchio, permettendo così di imprimere alle frecce la forza
necessaria per perforare le armature di cuoio degli avversari.
Tra mito e storia cavalcano le amazzoni. Abilissime cavallerizze, usavano come armi
primarie l'arco e l'ascia bipenne. Sono nomadi e si scontrano con diversi eserciti; nei
loro continui spostamenti creano nuovi nuclei. Ragazzi e ragazze venivano allevati
nello stesso modo, e nello stesso modo addestrati all'uso delle armi. Negli scritti del
medico Ippocrate (V-IV sec. a.C.) troviamo il racconto di come le amazzoni bruciavano
uno dei seni alle fanciulle per facilitarle nell'uso dell'arco e di come ottenevano
l'aumento della massa muscolare tramite l'addestramento continuo all'uso dell'ascia.
Queste tribù si scontrano con persiani, sciti, sarmati, dalle steppe dell'Asia centrale
fino al Danubio. I soldati di Alessandro Magno (356-323 a.C.) incontrarono e si
scontrarono tre volte con queste guerriere. Nel 66 a.C., racconta Plutarco, Pompeo,
generale romano si scontra con Mitriade, sovrano del Ponto, e lo sconfigge, al centro
dell'attuale Azerbaigian. Tra i 12000 cavalieri al seguito di Mitriade combatterono
anche delle amazzoni; i romani infatti trovarono sul campo di battaglia scudi leggeri e
stivaletti da amazzone e tra i prigionieri si trovarono un gran numero di donne. Scavi
archeologici effettuati in Russia a partire dal 1830 confermano le affermazioni fornite
da Erodoto (484-425 a.C., narratore delle guerre persiane fino al 478
a.C.).Dall'Ucraina del sud, alla Russia, fino al Caucaso vengono scoperti tumuli
tombali dal IV° al VII° secolo a.C.. Vengono portati alla luce scheletri femminili con
vicino corti archi compositi, faretre da spalla, frecce ed asce bipenne, fasce di cuoio
composte da piccole piastre, portate dalla spalla sinistra al fianco destro, corte vesta
colorate, fasce chiodate per proteggere la testa, lacci in cuoio per legare i capelli a
forma di coda di cavallo. Etimologicamente amazzone deriva da A privativo e MAZOS
mammella.
Fra i greci ed i romani l'arco è ben più presente nella mitologia che non sul campo di
battaglia. Lo troviamo usato comunemente nella caccia, spesso appare nelle sculture,
nei bassorilievi, nei mosaici che pavimentano le ville. E' presente nei grandi poemi e
nella mitologia. Gli dei dell'Olimpo lo usano come arma infallibile. Il Dio Apollo, appena
nato, vuole arco e frecce per uccidere Pitone, una grossa serpe che mancò di rispetto
alla madre Artemide dea della caccia armata d'arco (Diana per i romani). Omero pone
nelle mani di Ulisse l'arco di corno di cervo per far strage dei Proci. E' una freccia nel
tallone che pone fine alla vita dell'immortale Achille sotto le mura di Troia.
Rodi e Creta forniscono gli arcieri più noti della Grecia. Impugnavano un arco molto
corto, composto da corna di antilope asiatica e d'ariete, congiunte al centro per mezzo
di nervo d'animale, molto duro ed elastico; una fasciatura di vello ricopriva la parte
centrale che veniva impugnata. Era un arco poco flessibile e con poca corsa
d'apertura; gli arcieri tendevano pochissimo.
Roma non adotta l'arco finché si scontra coi Parti, eredi degli arcieri persiani, che
infliggono dure sconfitte alle sue legioni. L'impero rivede il suo atteggiamento nei
confronti dell'arco ed assolda gli stessi arcieri che avevano avuto ragione delle sue
legioni, utilizzandoli ai confini dell'Impero per tenere a bada i barbari con arcieri a
cavallo mobili e veloci. Nascono così i "sagittari" arcieri a cavallo Parti e Sassanidi
entrambi popoli dell'Asia Centrale, utilizzati contro i barbari. Roma riesce così a
salvaguardare i confini per lunghissimo tempo. Il loro arco è corto e riflesso, composto
da legno e tendine animale. E' il progenitore dell'arco mongolo o turco medioevale. Ha
una dimensione ridotta che lo rende estremamente adatto all'uso a cavallo a causa
dello spazio e del tempo limitato necessario per tenderlo. Nonostante la scoccata
corta la sua potenza era notevole.
L'arciere asiatico, fin dai primi anni di vita impara ad usare l'arco. Con un piccolo
attrezzo inizia la sua avventura d'arciere; impara velocemente, impara ad usare archi
di potenza superiore alla media dei comuni arcieri. Appena la sua abilità raggiunge un
discreto livello lo si abitua a scoccare frecce cavalcando. Comincia dal dorso di capre
e montoni, varia i bersagli e cresce in abilità e forza col crescere dell'età e della
prestanza fisica sinché è pronto per entrare nelle fila degli arcieri a cavallo più terribili
della storia. La tattica di guerra di questi uomini era abbastanza semplice. Orde di
arcieri a cavallo attaccavano il nemico, colpendo molto rapidamente e ritirandosi
altrettanto velocemente. Il nemico rompeva lo schema difensivo tenuto sino a quel
momento per riorganizzarsi e lanciarsi al contrattacco. A questo punto gli arcieri
tornavano velocemente sui loro passi, riattaccavano il nemico senza schema difensivo
ma non ancora organizzato per l'attacco, e lo distruggevano definitivamente.
Ben se ne accorsero i cinesi che dal 221 all' 87 a.C. dovettero combattere contro gli
Unni (Hsiung-nu) e che contro di loro iniziarono a costruire la Grande Muraglia.
Iniziarono allora a formare compagnie di arcieri a cavallo che però utilizzavano un arco
poco potente, formato da due lamine di bambù, fermate al centro da una grossa
impugnatura, rifinito ed artisticamente decorato ma poco efficiente e scarsamente
offensivo. Ovviarono con uno stratagemma che doveva servire a potenziare le frecce.
Montarono su di queste piccoli razzi, accendendoli quasi simultaneamente alla
scoccata, aumentando così la portata della freccia.

A cura di Marco Dubini - settembre 1999





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28/01/2015, 21:22
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